Hotel Armonia

Hotel Armonia

1998
acquarelli cm 30x40

Nel novembre 1998 in occasione dell'inaugurazione dell'Albergo Armonia ristrutturato furono eseguiti due acquarelli. In questo invece l'inaugurazione porta il caos sulla piazza che viene interpretato come tante macchine che si sormontano a vicenda e con tutte le autorità invitate sul balcone principale. Ovviamente non siamo più nella condizione precedente.
 
Salone di bellezza

Salone di bellezza

2007
olio su tela cm 50x40

La vanità femminile è evidenziata nei personaggi che frequentano il salone di bellezza più alla moda della città. Scarpe, gioielli e vestiti sono le componenti principali delle goff e signore che attendono il guru delle acconciature che viene tirato per la camicia da una cliente.
(Il quadro fu commissionato da Giuseppe Diomelli per ricordare l'amico Alberto)
 
Diomelli story

Diomelli story

1994
olio su tela cm 100x150

In questo quadro Dal Canto ha dipinto in sintesi la storia del "Pontaderese" Diomelli. Il quale comincia sul ponte dell'Era, indossando un maglione povero, ma con tante idee legate come palloncini alla bicicletta. Poi suona la chitarra ai piedi del Palazzo Pretorio, fa il fotografo di matrimoni, incontra persone che contano di più (prete grasso) e persone che contano di meno (prete magro e più piccolo). Quindi l'ascesa verso il mondo dei computer che tagliano i cervelli alla gente e attraggono le "bombette" del Potere, alle quali l'anarchico volante fa una bella sviolinata.
 
Allegorie

Allegorie

2007
olio su tela cm 60x50

Il Potere è qui rappresentato da una scelta delle tante facce con le quali si manifesta. La silouette ne confi gura la bombetta, le braccia, il corpo ed i pantaloni. La sua apparizione avviene in un mondo contorto come le case ed i cipressi che si vedono di lato a sinistra. Da notare che comunque, nonostante il Potere sembri fragile e leggero, esso è ben saldo a terra, infi lato nel terreno con parte delle figure in basso.
 
I giochi di potere

I giochi di potere

2007
olio su tela cm 100x70

La tromba del Potere suona e viene ascoltata, con le ipertrofi che orecchie tese, da tutti i chiamati al suo festino. Il cane con la maglietta della gente comune, rappresentato come un essere inferiore, si copre le orecchie poiché non vuol sentire quel suono di orrori. Il gioco del potere ha diversi aspetti inquietanti. Intanto gli uomini di Potere più importanti sono i più alti e hanno doppia faccia. Quelli più piccoli tentano in vari modi di ottenere più Potere: tirano la giacca al maggiore; gli si accostano alla spalla, ma rufolando nella sua tasca; tentano di cambiare faccia con una maschera; si tengono uniti con un collegamento di onde sonore emesse dal trombone. Da notare i due personaggi che recano ognuno un mazzo di fiori e si stringono la mano, ma attraverso il buco della serratura di una porta che separa due mondi diversi incomunicanti.
 
Il pagliaio

Il pagliaio

2008
olio su tela cm 80x60

Raffigurato nella persona che a destra della scena tiene una forca in mano quasi fosse un diavolo, il Potere ammassa la gente comune in una ordinata piramide che assomiglia a un pagliaio. Da notare il bussolotto all'apice dello stollo, che i contadini usavano per non far penetrare l'acqua piovana dentro la pertica in legno centrale. È una scena molto cinica, che traspare dall’atteggiamento del volto del Potere tagliato volutamente a metà, che fissa compiaciuto il lavoro fatto.
 
Contestazione

Contestazione

2008
olio su tela cm 70x50

È molto semplice e raccapricciante il messaggio dei tre registri in cui è suddivisa quest'opera. In alto esplode la contestazione generale alimentata da molti manifestanti con tanti cartelli dal chiaro simbolo di disapprovazione. Il potere sta a guardare, non interviene. Nel secondo registro il potere cresce ed i manifestanti si rarefanno. Nell'ultimo, quello in basso, il potere è cresciuto enormemente ed ha lo strumento necessario per esercitare il suo dominio.
La contestazione ormai si è assopita. Da notare la palandrana color mattone con la classica serie di bottoni da ecclesiastico.
 
Arlecchino

Arlecchino

2008
olio su tela cm 80x60

Il Potere si veste da Arlecchino. La maschera ben rappresenta la diversità degli aspetti che può assumere il Potere, che tiene in mano l'antico gioco del gatto e del topo, in uno scenario di negazione delle città i cui palazzi e monumenti sono rovesciati.
 
Solletico

Solletico

2008
olio su tela cm 60x50

Per realizzare le proprie finalità, il Potere stimola chi non ce l'ha e lo fa in un modo piacevole, con una piuma. Tutti sono coinvolti e a tutti i livelli sociali, che Dal Canto raffigura con i diversi strati della città, ognuno contrassegnato da case, monumenti, campagna, marina. Le penne, coloratissime, sono fornite da un uccello che viene dal cielo.
 
Sedia elettrica

Sedia elettrica

2008
olio su tela cm 80x60

Il giusto viene ucciso, sacrificato come Cristo.
Il Potere, in piedi dietro la sedia elettrica, assiste impassibile all'uccisione di tutto ciò che può essere rappresentato dalla fi gura bloccata sulla sedia elettrica, col capo chino e il corpo stremato dalle vicissitudini. Sullo sfondo la chiara allegoria di sudditanza americana.
 
La piramide del Potere

La piramide del
Potere

2001
olio su tela cm 19x58

Le sedie sovrapposte stanno a significare la sovrapposizione del Potere nella sua funzione piramidale. Il Potere ha bisogno di un Direttore d'orchestra e di almeno un esecutore che viene rappresentato dal violinista sullo sfondo.
 
Ideale

Ideale

2008
olio su tela cm 80x60

In un mondo ideale, dove tutto è perfetto, il Potere vigila che ogni cosa funzioni alla perfezione. Le case, i prati, i monumenti, gli alberi, proprio tutto è perfetto.
 
Tutti appesi

Tutti appesi

1998
olio su tela cm 80x60

Siamo tutti alla ricerca del latte materno, cerchiamo tutti di succhiare la mammella della donna che rappresenta il nostro Paese. Essa viene gonfiata dal Potere, il quale assicura il mantenimento dello status quo attraverso la comunicazione riverente. C'è quindi chi annaffi a le antenne perché la comunicazione si mantenga sempre fresca e vegeta. C'è anche chi non arriva al Potere e sta nell'angolo in alto a sinistra.
 
La giostra di Viareggio

La giostra di
Viareggio

1996
olio su tela cm 100x70

Il carnevale di Viareggio ispira questo quadro. Al centro della giostra sta il Potere dalle molte mani che stringono televisori, il mezzo di comunicazione per eccellenza. Il Potere si appoggia su un carosello di clown che dirigono l'orchestra. Alla base le donnine in costume della Viareggio estiva. Da notare il bagno liberty Margherita ed il neoclassico Principe di Piemonte.
 
Il palazzo

Il palazzo

1995
olio su tela cm 100x70

La città moderna è piena di palazzi come questo. Hanno tetti pieni di antenne e di comignoli inquinanti, che emettono fumo nero e spaventano gli uccelli. Il palazzo ha le sue solide basi nelle banche. Lo difendono dagli intrusi una schiera di coccodrilli e un solido portone, che un lucchetto chiude dall’esterno, quasi ad imprigionare chi sta dentro. Anche il guardiano veglia, il fucile nascosto dietro la schiena, sulla riservatezza degli inquilini. I quali sono di tante specie e più che altro non legano fra loro. Talvolta nemmeno con la persona che abita lo stesso appartamento, come la coppia divisa da un muro, al terzo piano sulla sinistra. C'è chi va a caccia, chi a pesca delle bistecche del piano di sotto. Qualcuno è un curioso e ascolta il prossimo. Un altro stende i denari o, come la donna al primo piano sulla destra, presta i propri servigi in cambio di un po’ di Potere.
 
Palliativi della vita

Palliativi della vita

2004
olio su tela cm 140x100

Giuseppe Diomelli
commissionò quest'opera a Dal Canto nel 2001. Voleva un quadro sui veleni o i vizi che l'uomo assume per estraniarsi dalla realtà. Più volte sollecitato, dopo oltre due anni Dal Canto lo realizzò estendendo il tema alla politica e al Potere. Il quadro è abbastanza complesso, aff rontiamolo dall'alto verso il basso: il Potere sponsorizza il mezzo mediatico che affascina il popolo con le donnine della TV. La gente comune infatti è drogata, non solo dalla vera droga presente in ogni luogo, come attestano le siringhe sparse qua e là, come case munite di fi nestre. Anche il gioco del calcio (a sinistra) e gli sport in genere (il ciclismo, sulla destra) droga la gente in genere. Gli atleti stessi si dopano (vedi il ciucciotto del ciclista). Ma alla gente tutto questo non interessa più di tanto poiché comunque tutto fi nisce sempre a "pizza e mandolino", affogando i mali in una bella mangiata e cantata. Però i mali ci sono e ben evidenti: lo strozzino, l’ubriaca e chi non vuol vedere (lettore bendato), sorretti dal girotondo del Potere politico che va a braccetto con i giudici e il Potere religioso. Da notare la somiglianza delle fi gure in basso con Buttiglione sulla sinistra e, sulla destra, D'Alema che viene fuori da una specie di labirinto trasparente. Al centro Berlusconi, reduce da una metamorfosi della sua capigliatura. In alto fluttuano nel vuoto il "nulla", impersonato dal vestito senza persona, e il Presidente della Repubblica Italiana con consorte, che vola per il mondo sventolando, come se tutto fosse tranquillo, la bandiera del nostro paese.
 
Equilibri

Equilibri

2007
olio su tela cm 100x70

La gente comune supporta e spinge verso l'alto i palloni che contengono la vita quotidiana nelle città e il lavoro in una società organizzata. I monumenti si elevano al cielo per la loro poesia e bellezza, ma talvolta i palloni sono sfondati e distrutti dal corvaccio, ossia la minaccia del tempo e l'insidia dell'incuria. Il Potere in equilibrio danza, gioca beato e si diverte a stare sopra a questi mondi. La cordata del Potere rappresenta il filo diretto che unisce le varie persone che incarnano il Potere in quanto lo esercitano.
 
Televisione

Televisione

2007
olio su tela cm 100x70

Qui l'artista contesta allegoricamente la televisione. Il Potere utilizza i media ma non ne rimane infl uenzato, come si nota dalla tavola imbandita dove mangiano i due suoi rappresentanti in bombetta. Diversa situazione si presenta nella tavola della gente comune: il maggiordomo, vestito con abito adeguato e accattivante, serve il piatto forte su un tavolo molto alto, quindi importante. Sul quale un vassoio contiene la televisione, però regolata dalla mano del Potere, che sbuca da sotto il piano del tavolo. L'orsacchiotto rappresenta l'allegria portata dalla televisione e che piace ai cervelli da bambini degli spettatori. Da notare che il cane, l'essere inferiore all'ultimo servo del Potere, sostiene la punta della scarpa del maggiordomo, in veste di anello infi mo della catena.
 
I forzati

I forzati

1989
olio su tela cm 150x200

 
Lo specchio I

Lo specchio I

1980
olio su tela cm 120x140

 
OPERE » UNA STORIA (CONTRO) » GALLERIA 2

GIORGIO DAL CANTO: UN PERCORSO ARTISTICO SEGNATO DA IRONIA E AMAREZZA, DISINCANTO E
PREOCCUPAZIONE

Ilario Luperini

Da oltre quaranta anni Giorgio Dal Canto conduce un lavoro creativo di notevole levatura, meritevole di un'attenzione critica assai più rilevante di quanto il suo appartato lavoro abbia finora suscitato.
Il nucleo poetico del suo linguaggio risiede nella costruzione di un conflitto: da una parte supponenti e tronfi e figure in nero con la classica bombetta, simbolo scontato di una borghesia opulenta, personificazioni di un potere che condiziona l'esistenza; dall'altra teneri e patetici uomini con maglie a strisce orizzontali, i "righe", in apparenza assoggettati ai simboli del potere (clero, militari, terzo stato, politici corrotti) in realtà protesi – talora anche drammaticamente – verso il raggiungimento di una propria dimensione di libertà, priva di rapporti con un mondo costruito di miti ed illusioni disumanizzanti. Ma il conflitto è astorico nella sua assolutezza, quasi teatrino magico, ironico, incantato, spesso inquietante, popolato di figure e simboli di grande pregnanza comunicativa. Questo conflitto, motivo conduttore di tutto il suo lungo e affascinante lavoro, assume, di ciclo in ciclo, caratteri diversi, quasi variazioni sul tema. In altra parte del libro mi soffermo sulle opere ultime. Qui alcune considerazioni sui caratteri e i temi che fanno di questo autore un esempio di coerenza linguistica, rigore intellettuale e ricchezza creativa.
Le sue costruzioni sono ottenute con sapienza coloristica e raffi nata minuziosità calligrafica, a volte sostenuta da solidità di impianto plastico, aspetti tutti che gli derivano dalle sue origini di esperto decoratore. La delicata raffinatezza analitica, la sapiente insistenza sui dettagli, non scadono mai in descrittivismo, ma si sublimano in sintesi formali di rara intensità espressiva e rimandano alle fonti della sua ispirazione: non solo, come è facile rilevare, i contemporanei (vicini e lontani: da Viviani a De Chirico a Dalì), ma anche i classici della cultura figurativa italiana, da Giotto a Piero della Francesca, senza escludere riferimenti alla minuziosità descrittiva fiamminga. I temi affrontati sono tutti di immediata attualità; sono trattati con passione, in un turbinio di suggestioni da cui il primo ad essere coinvolto è lui stesso. Ma al di sopra c'è l'ironia: leggera e soffusa, malinconica e pungente, pietosa e dissacrante fino a giungere al sarcasmo; un'ironia talvolta amara e sfiduciata, ma mai disposta a piegarsi senza tentare la sua affermazione: non è certo solo con essa che si salva il mondo, ma è indubbio che senza di essa il mondo è destinato alla dannazione.
Proprio nell'affrontare temi di così immediata attualità, Dal Canto rivela l'urgenza profonda di astrarsi dal contingente a favore di un mondo pittorico immobile, al disopra del tempo e dello spazio, affollato di simboli, oggetti, figure, animali immersi in un'aura fantastica e fantasticamente costruiti. Ecco i personaggi dallo sguardo fisso e gli occhi incavati, i nasi adunchi e le narici dilatate, le meccaniche pose dei corpi, le atmosfere sospese, i colori nitidi, quasi senza sfumature, i contorni netti, le stesure uniformi, le composizioni in equilibrio instabile.
Man mano che il suo percorso artistico procede, il terreno d'indagine si sposta su un versante sempre più socio-culturale; affronta alcuni grossi nodi della dinamica sociale e si sofferma su temi che gli sono sempre stati cari – la solitudine, l'isolamento, i condizionamenti del potere, la soggezione agli stereotipi del senso comune – ma che assumono un carattere di sempre maggiore universalità. Le figurazioni appaiono sostenute da una più esplicita accentuazione dei toni che vanno dalla fantasmagoria onirica fino ad alcuni sconfinamenti in un simbolismo surreale. L'apparato decorativo è sempre più ricco, sia dal punto di vista compositivo che cromatico e sembra precludere ad una esplosione della gioia di vivere; in realtà fa da contrappunto a una visione sempre più amara della realtà e dei luoghi dell'esistenza. Quanto più i colori diventano squillanti e la costruzione ambientale più ricca di particolari, tanto più, per contrappasso, il dramma dell'esistenza si evidenzia con sempre maggiore intensità. In genere la stesura cromatica si fa più uniforme, traversata da vibrante intensità linearistica, senza che ciò significhi appiattimento e perdita di consistenza plastica.
La visione delle opere è multipla e complessa: l'occhio viene prima attratto dalle figure emergenti per proporzioni e soluzioni compositive; poi, pian piano, si diffonde sui particolari, non perdendo mai di vista, però, il senso complessivo dell'insieme, anche quando la simbologia di determinati dettagli (animali strani, frutti rappresentati in funzione solo apparentemente decorativa, scorci di paesaggi urbani, lontananze solitarie e silenziose) appare incomprensibile.
Ciò è dovuto alla capacità dell'artista di ricondurre a unità, attraverso le gradazioni cromatiche e le evoluzioni della linea, ogni particolare che, pure, in sé è curato con estrema attenzione e precisione miniaturistica. Ne deriva quel senso di assolutezza che è dato costante delle opere di Giorgio Dal Canto; un senso di assolutezza in cui la scoperta ironia iniziale sembra attenuarsi per far posto, almeno in alcuni momenti, all'amarezza e allo scoramento, mai, però, piegati verso il dramma, ma sorretti da pervicace pazienza e indistruttibile desiderio di combattere. "Righe" e "Bombetta" sembrano sempre più uniti da un comune, triste destino: l'inesorabile caduta verso l'individualismo, in una società che omologa tutto e tutti, che non lascia spazio alla valorizzazione dell'individuo in un sistema di rapporti sociali sviluppati. Specialmente nei cicli creati nella seconda metà degli anni Novanta del Novecento, per rendersene conto basta osservare le facce dei personaggi, tutte ugualmente immalinconite o colte in espressioni di apparente e tragica allegria, o le posizioni dei corpi, singoli o affastellati in improbabili grovigli, denotanti assuefazione, assoggettamento, calo di tensione, quasi una sorta di consapevolezza che gli occulti manovratori (le gerarchie ecclesiastiche, i pochi potenti della terra) condizionano l'umanità nella stessa maniera, senza distinzione di ceto sociale.
Nemmeno la cultura tradizionale salva più. Le città perdono i loro connotati originari: i loro monumenti si affastellano e, benché ancora chiaramente riconoscibili, sono estrapolati dal loro contesto ad indicare il comune rischio di perdita d'identità cui l'umanità è condannata dalla civiltà multimediale. In questo ambito, ricorre spesso l'immagine della Torre di Pisa, isolata o rappresentata insieme ad altri edifici monumentali. Da ricordare, peraltro, un ciclo ad essa interamente dedicato, nel 1993. È trattata quasi sempre con caustica ironia, con la volontà di scarnificare un mito, di depurarlo da tutte le scorie mercantilistiche per riproporne, per intero, la bellezza, per sottrarla all'azione corrosiva del ben pensare comune che rischia di omologarla alla "filosofia dell'usa e getta". A partire dal 1995, con il ciclo "Disgrazie di un paese", la vena di Giorgio sembra essere attraversata da maggiori ansie; aumenta il senso dell'impotenza, cresce la preoccupazione, in particolare per la consapevolezza che in Italia si sta strutturando un impero mediatico che condiziona i ritmi stessi dell'esistenza.
Funzionali al potere sono, infatti, i facili miraggi dei mezzi di comunicazione di massa di cui i potenti si servono per indurre preconcetti, luoghi comuni, stereotipi. Il potere costringe l'uomo a vivere nella cronaca, perdendo il senso della storia. E la cronaca con cui i media ci inondano quotidianamente è nera o rosa; l'una induce paura, l'altra stupidità. E contro questa azione condizionante delle televisioni Giorgio Dal Canto appunta di frequente la sua attenzione. Dal Canto è consapevole che con la civiltà della televisione siamo entrati in una situazione antropologica del tutto inaspettata; non siamo più davanti all'immagine, siamo nell'immagine: in questa condizione non c'è più alcun atto di volontà che presiede all'osservazione: anche senza andare al museo o al cinema siamo continuamente circondati dalle immagini. La trasmissione in tempo reale permette inoltre di partecipare alla stessa temporalità di un avvenimento reale e distante: non assistiamo più a una rappresentazione, ma abbiamo l'impressione di partecipare direttamente alla sua esistenza. Cambia, quindi, proprio il meccanismo antropologico: non è più la persona che va verso il mondo, ma è il mondo che va verso la persona, dato che davanti alla televisione confondiamo necessariamente la realtà con la sua immagine.
La televisione è forse la più straordinaria macchina che la tecnologia abbia inventato. È una scatola magica, uno strumento da favola, una scatola in cui si vedono le cose del mondo, mentre le cose succedono. Oltretutto grazie alle immagini numeriche, per la prima volta si possono creare figure di sintesi, delle immagini di nulla che sono semplicemente delle modalità di calcolo.
L'immagine diventa, quindi, autoreferenziale in quanto non è il doppio di qualche cosa, ma è la realtà di se stessa. Il falso effetto di realtà della TV produce un mondo sempre meno reale. Il pericolo è quello di perdere ogni rapporto critico con la realtà e di vivere in una dimensione di infingimenti eterodiretti. È possibile reagire a questo rischio? Giorgio Dal Canto, dietro un aspetto sornione e maliziosamente disincantato, si è sempre posto questi inquietanti interrogativi e, prima di tutto, ha cercato soluzioni dentro di sé, senza preoccuparsi di caricare il suo mondo poetico di compiti, di missioni, di doveri, di funzioni maieutiche che sente lontane dal suo modo di pensare e di operare.
In alcuni lavori più recenti, Dal Canto pare immaginare gli scenari di una società governata dalla telematica: la persona potrà entrare in comunicazione con tutti gli enti dell'universo, soddisfare i desideri della vita e le esigenze del lavoro senza abbandonare l'abitazione familiare. Le nostre attuali metropoli, strutturate sulla rigida differenza a tra spazio pubblico e privato si trasformeranno in città i cui abitanti potranno vivere e lavorare restandosene comodamente seduti a casa propria, ma collegati al resto del mondo per via di un'immensa rete multimediale. In teoria si annullerà la distanza tra vita solitaria e vita comunitaria: ognuno, pur rimanendo solo, potrà incontrare tutti gli altri interagendo operativamente – quindi in maniera attiva – con loro attraverso uno schermo. Indubbi i vantaggi: non più tempi morti di spostamento, non più traffico e inquinamento; un risparmio enorme di costi sociali.
Ma quali costi sul piano umano? Sul piano della qualità della vita? Quale fine farà il senso di comunanza, di convivenza, di socialità? Quale forma di coscienza civile si formerà? Dal Canto formula queste domande e presenta più dubbi che risposte. Di una cosa, però, sembra essere certo: si perderà l'incontro diretto con le cose, con gli animali, con i propri simili, con il loro volto, con il loro sguardo, con il loro odore. Il volto, l'intensità di uno sguardo non può essere sostituito da un'interfaccia virtuale. Ognuno rischia di perdere anche la propria soggettività, perché la soggettività si forma proprio nel dialogo diretto con gli altri, con il fuori, con il calore del rapporto reale. Si può incorrere in un pericoloso processo di totale estraneamento. Tutta la storia delle immagini, la produzione di immagini, è sempre stata accompagnata da una consapevolezza: la rappresentazione di una cosa non può mai sostituirsi alla cosa stessa.
Con le nuove tecnologie multimediali si tende invece a fare proprio l'opposto: non si tratta più di rappresentare il mondo, ma di sostituire alla realtà un mondo virtuale, all'interno del quale muoversi, operare come se fosse quello reale e, quindi, facendo a meno di quest'ultimo. Ma se ciò comporta, come è immaginabile, la perdita della imprevedibilità degli accadimenti, la perdita del senso ultimo della vita, allora quel tipo di comunicazione rischia di essere povero e, quindi, di immiserire la dimensione umana.
Attenzione, sembra avvertire Dal Canto, la posta in gioco è veramente alta, la questione non va assolutamente sottovalutata, pena una perenne condanna all'isolamento, alla più profonda solitudine. Per questo la sua è una visione sempre meno disincantata; l'artista incomincia a preoccuparsi davvero di quel che può succedere all'umanità; e ne esce pensoso, ancora pronto alla battuta ironica, al sorriso beffardo, alla sottolineatura caricaturale, ma decisamente preoccupato. E il suo mondo diviene sempre di più paradigma dell'assoluto, ormai del tutto lontano dal contingente.
L'uomo, l'artista Dal Canto è ancora ricco di combattività, ma è anche consapevole di trovarsi di fronte a percorsi ognora più ardui.
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